DI SEGNI & DI SOGNI
L’arte è immaginazione
L’arte non è altro che invenzione: è processo creativo, è processo formativo, è atto di sé.
E’ la metis incarnata da Hermes, ovvero la capacità di conturbare le forme, cangiarle, ulteriorizzarle in nuove stratificazioni di segni: è perciostesso metis corporea, originaria intelligenza del corpo, prassistica , modellata per l’azione, “capace di nullificare e trasformare di segno tutte le cose che tocca: e questo, fin da principio, è per sempre il movimento fondamentale di ogni corporeità agente nel suo stesso farsi” (D. Formaggio, L’arte, Mondadori ).
E’ il cercare un proprio “segno”, e, in questo cercare, in questa continua, febbrile esplorazione, in quest’avventura dei sensi e della mente, tutto il corpo dell’artista, la psiche e lo spirito sono coinvolti. Perché “fare arte” impone la partecipazione totale dell’essere, e il “fare”, nel presagio della scoperta, nell’incanto liberatorio del gioco (l’arte va considerata come uno scherzo: però uno scherzo serissimo, dichiarò una volta il dadaista Augusto Cernigoj, con provocatoria ironia, a Mario Verdone), produce “l’evento magico” dell’opera e del suo destino.
E’ lo “Schein” di Schiller: l’apparenza, la parvenza, ma anche la profonda capacità di astrazione dal “reale”: è l’unicità, è l’alterità, è l’estraneità rispetto alla “realtà”, è la ricerca infaticabile dell’altrove: “illusione” che crea spazi virtuali che non trovano corrispondenza nella realtà oggettiva, “irrealtà” dell’arte che deve, contro ogni prova, “persuadere”: deve cioè sollecitare, irriducibilmente, a credere in ciò che non è visibile, ma che tuttavia si dà come possibile.
Qui, in questo operare, in questo stupore di mondi ripensati che prendono forme inattese, in questo totale abbandono di lucida follia, si avviluppano i flussi di coscienza, che si rincorrono, che si fondono e si trasformano, dilatano i ricordi, trasfigurano la realtà, la trascendono, convergono in “emozioni” che si incontrano vibranti nei sotterranei dell’esperienza, nelle cripte profonde e oscure della memoria, nelle molteplici pieghe dell’io, nel palpito appassionato dell’espressione, nelle sconfinate praterie dell’immaginario, per unire il “sogno” all’arco dei turbamenti che si agitano nelle mille oscillazioni dell’anima, e aprire spiragli abbaglianti sull’impossibile.
Fino a diventare caratteri di una “scrittura” autentica, di una “confessione creativa” che si fa “segno”, riflessione capace di dare allo sguardo nuovi miraggi, nuove visioni che avvicinano l’incolmabile; ma capace anche di ri-dare senso alla ricerca dei criteri del nostro “situarci”, che ci permettano di cogliere e di re-inventare quei “segni di appartenenza” nei quali ri-conoscerci e attraverso i quali ri-conoscere, o, ancora di più, di poter essere ri-conosciuti.
Perché in tutto, per dirla con Shakespeare, nella storia, nella forma (ogni forma è il ritratto compiuto di chi l’ha fatta, perché espressione compiuta del sé, sostiene Pareyson), nella materia, nel tempo, nell’altro, vediamo il riflesso dei nostri stessi bisogni, … e tutto quello che c’è nella mente dell’uomo eguaglia quello che c’è tra il cielo e la terra.
Italo Medda